«A differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale. Non sopporta cure. Sarebbe come voler turare i buchi che abbiamo nel corpo credendoli delle ferite. Morremmo strangolati non appena curati».

Nel romanzo di Svevo La Coscienza di Zeno, il protagonista, Zeno Cosini, su invito dello psicanalista a cui si è rivolto per smettere di fumare, mette per iscritto le fasi salienti della propria vita.
Il libro si apre con la «Prefazione» di un non meglio identificato Dottor S., il quale avverte il lettore che si tratta dell’autobiografia che lui stesso aveva consigliato di scrivere al paziente e che pubblica per vendicarsi del fatto che ha interrotto la cura «sul più bello». Nell’ultimo capitolo (Psico-analisi), Zeno spiega le ragioni per cui ha interrotto la cura. Il Dott. S. appare come un «bestione» che ha cercato di abbindolarlo. Zeno confessa di essersi addirittura inventato dei sogni per fargli credere di aver scoperto la sua «malattia», «quella diagnosticata a suo tempo dal defunto Sofocle sul povero Edipo: Avevo amata mia madre e avrei voluto ammazzare mio padre».
Di fronte al Dottor S., Zeno rappresenterebbe quindi un copione scritto a due mani da Italo Svevo e da Bruno Veneziani, per vendicarsi di tutto il tempo perso da quest’ultimo andando su e giù fra Trieste e Vienna e soprattutto di quella lunga lotta sostenuta contro di lui dai migliori specialisti europei, Freud in testa, per guarirlo da una «malattia» a giudizio di Svevo inesistente. Zeno, sdegnato, interrompe la terapia e guarisce “spontaneamente” concludendo che la «malattia» da cui si sentiva afflitto è in realtà un’epidemia che ha contagiato l’umanità: è la vita stessa, afferma, ad essere malata, con le sue ipocrisie e i suoi falsi valori. Il «lieto fine» che ha trovato il protagonista è accettare la vita e soprattutto se stesso così com’è, con le sue debolezze e ambiguità. «Sto raccontando una storia che non conosco bene», afferma il protagonista. Come a dire: la vita è assai difficile da decifrare!