Giovanni Albertocchi: estratti da Introduzione a “La coscienza di Zeno – I grandi classici della letteratura Edimedia”
Sull’interesse di Svevo per la nuova scienza, la psicoanalisi, influì la vicenda del cognato Bruno Veneziani, omosessuale, tossicodipendente e irrequieto, considerato la ‘pecora nera’ della famiglia. La madre Olga, assai preoccupata, si rivolse a Freud in persona che lo prese in cura come nevrotico. La curiosità di Svevo per le vicende di Bruno lo spinse a leggere le opere del maestro e anni dopo (nel 1918) a provare addirittura a tradurne una in italiano (Über den Traum, Il sogno). Di fronte alla diagnosi del cognato, liquidato in malo modo da Sigmund Freud che consigliava di spedirlo «con un po’ di denaro oltreoceano, per esempio in Sudamerica, lasciando che vi cerchi e trovi il proprio destino», Svevo rimase di stucco. Più tardi scrisse, riferendosi chiaramente a Bruno: «Un mio amico nevrotico corse a Vienna per intraprenderla (…) Si fece psicanalizzare per due anni e ritornò dalla cura addirittura distrutto: abulico come prima ma con la sua bella abulia aggravata dalla convinzione ch’egli, essendo fatto così, non potesse agire altrimenti».
A Valerio Jahier, che voleva sottoporsi ad analisi, Svevo scrisse: «Grande uomo quel nostro Freud ma più per i romanzieri che per gli ammalati». In un’altra lettera del 27 dicembre scrisse: «Il Freud stesso, dopo anni di cure implicanti gravi spese, congedò il paziente dichiarandolo inguaribile. Anzi io ammiro il Freud, ma quel verdetto dopo tanta vita perduta mi lasciò un’impressione disgustosa».